Qualche giorno fa ho incontrato una trentina di educatori scout che si occupano dei bambini dagli otto agli undici anni e che hanno deciso di confrontarsi sull’uso corretto dei social network in ambito educativo, sia da parte dei bambini che da parte degli stessi educatori.

Sono stata piacevolmente sorpresa perché molti tra gli educatori di oggi hanno un’età che li colloca tra i nativi digitali e questi temi parrebbero riservati alle sensibilità dei vecchi “analogici” come la sottoscritta, invece ecco apparire dubbi e riflessioni che ci rivelano come questi siano temi che interrogano chiunque ricopra un ruolo di responsabilità verso i più piccoli. È opportuno per un educatore dare l’amicizia su facebook ai propri ragazzi? E ai genitori dei propri ragazzi? Quali sono le implicazioni? Le relazioni vengono più facilitate o più complicate? Su questi e altri dilemmi è utile confrontarsi: c’è chi, conoscendo bene i programmi, è in grado di gestire queste relazioni proteggendo anche la propria privacy; chi preferisce non rischiare; chi ritiene più proficuo riservare tutto il tempo per la relazione faccia a faccia.

Come sempre, non esiste una sola risposta giusta, quello che conta è avere chiaro il proprio ruolo e non fare l’errore di affidarsi esclusivamente a questi strumenti: un malinteso “digitale” è più facilmente risolvibile se alla base esiste tra le persone una relazione vera, costruita nel tempo e nello spazio, di quelle che si creano guardandosi negli occhi, cogliendo i gesti o il tono della voce. Durante l’incontro abbiamo provato a capire a quali bisogni rispondono questi strumenti e sono emersi il bisogno di esprimersi, di comunicare, di avere delle conferme, di piacere, di sentirsi in contatto con qualcuno. Insomma tutte le sfaccettature delle esigenze relazionali che sono una parte importante vita nostra e dei ragazzi. Insieme a questi aspetti sono emersi i rischi derivanti da un uso eccessivo dei social, come quella che Marco Gui, ricercatore alla Bicocca di Milano, esperto di Sociologia dei media, definisce “obesità mediale”.

Nel suo “A dieta di media”, Gui individua quattro criticità causate dalla diffusione dei Social e rispetto alle quali invita a svolgere un’azione educativa.

Educare a “scegliere”: nel mare magnum di informazioni e notizie occorre accompagnare i bambini all’acquisizione dei criteri di base per capire quando una notizia è affidabile e come si può arrivare dritti all’obiettivo senza abboccare alle varie esche che si trovano su internet.

Educare a concentrarsi: ebbene sì, le neuroscienze ci dicono che il “multitasking” per gli esseri umani non è possibile, quindi l’utilizzo di più strumenti contemporaneamente se da una parte sviluppa riflessi e velocità dall’altra aumenta i tempi di lettura e abbassa le performance di comprensione e memorizzazione.

Educare alla relazione: far capire ai bambini e ai genitori che il gruppo di whatsapp è un luogo pubblico, dove quello che scrivo può non rimanere riservato agli iscritti. Questa è una delle caratteristiche del mondo digitale ed è quindi opportuno esprimersi con rispetto verso gli altri.

Educare a limitarsi: il problema della dipendenza riguarda un po’ tutti. Senza arrivare alla vera e propria patologia, che riguarda una piccola percentuale di utenti, tutti noi conosciamo quella strana sensazione che ci prende quando dimentichiamo il cellulare…

Più c’è disponibilità di stimoli e possibilità di comunicazione più cresce la tendenza al sovraconsumo. Queste sono alcune ragioni per cui andrebbero pensati percorsi di educazione ai media, come succede in altre parti d’Europa. Nel frattempo una bella uscita scout dove si ha l’occasione di divertirsi e di dimenticarsi del cellulare, di whatsapp e di tutti i social e dove se fai qualcosa che non va sei costretto a guardare negli occhi Akela quando ti riprende, è già una importante e sana variazione alla dieta mediale dei bambini.

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